lunedì 7 settembre 2009

05. I Cinesi

Nel 506 la Cina è formata da sette Stati di vaste dimensioni e da altri Stati minori, che si tengono sotto minaccia reciproca. La conflittualità è elevata, la guerra endemica. Il periodo che va dal 453 al 222 a.C. è segnato da gravi disordini, instabilità e anarchia, ed è perciò detto dei “Regni combattenti”. Per fronteggiare la difficile situazione, ciascuno Stato si vede costretto a migliorare la propria efficienza militare e amministrativa e, così facendo, finisce per rompere i tradizionali legami della società agricola e aprirsi agli scambi commerciali.
La più radicale delle riorganizzazioni avviene nello Stato di Qin, dove il nobile Shang Yang (356-38) abbandona la consuetudine di assegnare le cariche per via ereditaria e offre possibilità di carriera a giovani di talento, senza più riguardo alle distinzioni di classe. Inoltre, riforma l’organizzazione dello Stato, che viene suddiviso in circoscrizioni, date in amministrazione a funzionari, i quali provvedono a regolare la vita delle rispettive comunità. In questo periodo viene incoraggiata e si diffonde la piccola proprietà privata. A partire dal IV secolo viene imposta la coscrizione obbligatoria e la guerra esce così dalla ristretta cerchia aristocratica e coinvolge le masse. Accanto alla fanteria compaiono i primi corpi di cavalleria. Da questo momento i titoli nobiliari sono assegnati anche per meriti militari e non solo per nascita.
È un periodo ricco di fermenti, nel corso del quale si introducono l’uso della moneta (V sec.), la lavorazione del ferro, l’aratro tirato da buoi, la cavalleria, l’arco, la balestra e tecniche ossidionali; viene favorita, inoltre, l’affermazione di una nuova classe di funzionari eruditi (shi), che conoscono i testi e i rituali dell’epoca feudale e che aspirano a riunificare l’impero e restaurare l’ordine sociale.
È in questo periodo che Confucio (551-479), un funzionario di origini aristocratiche, ma ormai decaduto, inizia una serie di peregrinazioni e diffonde il suo pensiero, che mira a stabilire un sistema di valori universali in un mondo dominato dalla forza e dalla sete di ricchezza. Insieme al confucianesimo si diffonde il legalismo, che sostiene l’idea di uno Stato forte dotato di leggi rigide e della forza necessaria per punire i trasgressori e tenere così a freno l’intero corpo sociale. Dopo Confucio, l’equivalente cinese di Socrate, altri maestri e filosofi diffondono fra la gente il loro pensiero, che è più interessato alla vita pratica che alle scienze e alla metafisica. Sono gli analoghi dei sofisti. Essi sono tollerati dai sovrani, a differenza dei mercanti, che, nonostante vengano aborriti, continuano a prosperare.
Dopo un secolo di lotte, la moltitudine di Stati viene unificata ad opera di Shi Huangdi (221-210 a.C.), il primo imperatore della Cina, che fonda la dinastia Qin (221-210 a.C.), da cui la Cina prende il nome. Shi Huangdi crea un efficiente apparato amministrativo, abolisce le aristocrazie ereditarie, divide il territorio in province, che vengono funzionari di nomina imperiale, adotta sistemi standardizzati di scrittura, di pesi e misure, e di moneta; instaura la proprietà privata delle terre, impone leggi e tasse, introduce il servizio militare obbligatorio, potenzia la cavalleria, costruisce canali e strade. La più nota impresa dei Qin è comunque il collegamento dei tratti di muraglie già erette precedentemente dai singolo Stati per difendersi dalle incursioni nomadi, e prende così forma la Grande Muraglia, che costituisce la più grande opera monumentale realizzata dall’uomo. Il suo tratto più lungo e più antico è eretto proprio per volere Shi Huangdi, allo scopo di proteggere i confini settentrionali della Cina dalle invasioni di genti nomadi provenienti dal Nord.
Alla morte di Shi Huangdi, si sviluppano forti lotte per il potere, da cui esce vittorioso Liu Bang (in seguito conosciuto con il titolo di Gao Zu), che dopo avere sconfitto gli altri contendenti al trono, fonda la dinastia Han (206 a.C. - 220 d.C.). Gli Han riformano il sistema giuridico e fiscale, rendono obbligatorio il servizio militare, da cui sono esonerati solo i nobili e i funzionari, elevano il confucianesimo a religione di Stato e danno alla Cina la forma politica che essa conserverà per i successivi due millenni.
Sul finire del II secolo a.C. viene compilata una Grande storia della Cina, chiamata Shiji, che, non potendo legittimare la dinastia Han sulla base di una tradizione aristocratica che non c’è (essi, infatti, hanno conquistato il potere con la forza), lo fa attraverso le sue imprese. Il risultato è lo stesso: gli Han sono legittimati non dal loro sangue, ma dalla storia.
Viene inventata la carta (non più tardi del I d.C.). Sotto la dinastia Han viene costruita una funzionale rete viaria con un buon servizio di corrieri postali, sono conquistate nuove terre e inaugurate nuove rotte commerciali verso l’Europa, mentre prosegue la costruzione della Grande Muraglia. Alla fine, il potere imperiale risulta consolidato. A partire dal 185 d.C., però, molti latifondisti assumono cariche pubbliche e diventano così potenti da desiderare l’indipendenza dall’imperatore. Sotto la spinta di queste forze disgregatrici, oltre che per la pressione di popolazioni barbare, l’impero Han cade e segue un periodo, durante il quale convivono una miriade di Stati indipendenti, ma in lotta fra loro, il cosiddetto medioevo cinese, che si protrae fino al 589, anno della riunificazione imperiale ad opera della dinastia Sui.
Ma l’idea di Impero non muore e ciascuno dei tre regni (Wei, Shu, Wu) in cui ora la Cina è divisa si considera erede legittimo della dinastia Han e sogna di ripristinare la perduta unità dell’impero. I tre regni sono nati dall’integrazione di elementi cinesi ed elementi barbarici e sono retti da aristocrazie guerriere. Il Sud è culturalmente più avanzato rispetto al Nord, ma entrambi sono accomunati dalla fede buddista e dall’idea di impero. I sovrani hanno interesse di essere circondati da vassalli potenti, ma non tanto da insidiare la propria leadership. Il quadro politico risulta dunque da un incerto equilibrio fra le forze del sovrano e quelle dei suoi vassalli. Al Nord il potere è diviso fra poche grandi famiglie latifondiste che ricorrono al lavoro servile. Al Sud il potere è nelle mani della vecchia aristocrazia, ma anche dei nuovi ricchi, che sono in prevalenza commercianti.
È in questo periodo di grande travaglio sociale che entrano in scena e vengono ben accolti i missionari buddisti. In teoria, il buddhismo insegna che un monaco non deve inchinarsi né davanti ai propri genitori, né davanti al sovrano, ma questo talvolta non è tollerato dai sovrani e spesso si addiviene a soluzioni di compromesso, specialmente a nord, dove i signori di origine barbarica hanno bisogno dei monaci per legittimare il proprio potere e i monaci hanno dell’appoggio del sovrano: alla fine il buddhismo diviene uno strumento dello Stato.
Accanto al Buddhismo si va diffondendo anche il taoismo che, da dottrina filosofica, si trasforma in religione organizzata (metà del III sec. d.C.).

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