lunedì 7 settembre 2009

12. Africa

Nel periodo compreso fra il 500 a.C e il 300 d.C., l’Africa nera è disseminata di regni e imperi, di cui si ha scarsa conoscenza. La più nota cultura africana fiorisce nell’attuale Etiopia, a partire dal I secolo d.C., e dà origine all’impero di Axum. Dal porto di Adulis (l’attuale Massaua) i mercanti axumiti trasportano le loro merci lungo tutto il mar Rosso e vengono in contatto con il mondo egizio e greco-romano. Si hanno testimonianze della loro esistenza in Erodoto e in Costantino. Nella prima metà del IV secolo, Axum viene evangelizzato da un mercante siriano, Frumenzio, che diviene “vescovo d’Etiopia”. Dopo la conquista araba dell’Africa mediterranea, la civiltà axumita rimane isolata dal resto del mondo e decade (VII secolo).

11. Russia

Nel corso del secondo millennio, le popolazioni russe vengono in contatto, a vario titolo, con le popolazioni dell’attuale Polonia, della Lettonia, della Lituania, della Penisola Scandinava, ma anche con l’Impero romano e coi Regni barbarici che lo seguono, con l’Impero bizantino, con la Mongolia e con la Cina. Ogni tribù cerca, ovviamente, di fare i propri interessi e quelle più povere si impegnano in azioni di razzia a danno di quelle più ricche, mentre queste ultime tendono ad assimilare le popolazioni con cui vengono a contatto.

10. America

Nel periodo esaminato, il Continente americano non svolge alcun ruolo politico di rilievo. A Nord, le popolazioni vivono ancora in gran parte allo stato tribale, nomade o seminomade, non conoscono la scrittura, la ruota, i metalli, né dispongono di animali da soma. La loro vita si svolge in modo assai semplice e in equilibrio con la natura. Nel Centro-Sud, invece, si comincia a diffondere l’agricoltura, si costruiscono le prima città e si affermano le prime civiltà. In particolare, nel periodo compreso fra l’800 a.C. e il XIII sec. d.C., nella regione che corrisponde al Perù, si avvicendano diverse civiltà, di cui possediamo conoscenze prossime allo zero.
La civiltà maya si afferma, invece, alla fine del III sec. d.C., nell’America Centrale, specialmente nella penisola dello Yucatan. È costituita da numerosi centri urbani indipendenti, che sono accomunati da lingua e cultura, ma non sono uniti in un impero. Essi somigliano a dominî o a città stato indipendenti, che ricordano le poleis greche e sono governate da re-sacerdoti che si trasmettono il potere per via ereditaria. Manca una capitale maya. Il capo della città è un signore assoluto, un semidio, al quale tutti devono obbedire. Egli è coadiuvato dal batab, una specie di vicerè, che esercita il potere esecutivo, avvalendosi di una nutrita schiera di funzionari ed esattori, e detiene il comando dell’esercito, anche se, di fatto, almeno nelle azioni militari minori, il comando effettivo viene assunto da un capitano (nacom), che è nominato per tre anni. Queste figure di rango superiore sono esentate dal pagamento delle tasse.

09. Impero persiano

I persiani concedono ampie autonomie alle autorità locali preesistenti e rispettano e proteggono le religioni dei loro sudditi. Queste condizioni sembrerebbero propizie per un’indefinita espansione dell’impero, ma così non è: babilonesi, egizi e greci si oppongono fieramente al dominio persiano.

08. Indocina

Anche la civiltà indocinese si sviluppa lungo le aree di grandi fiumi e anch’essa compare tardivamente, traendo origine dalla cultura indiana e cinese.

07. Giappone

Intorno al 400 a.C. comincia a diffondersi la pratica dell’agricoltura, che è basata principalmente sulla coltivazione del riso, e compaiono i primi insediamenti stabili di villaggio. La massima forma di organizzazione sociale è, fino a questo momento, la tribù. I cinesi non fanno fatica a sottomettere il paese, ma è proprio sotto la loro dominazione che le popolazioni tribali si organizzano intorno a un capo comune e sviluppano lentamente un sentimento nazionale. I primi regni giapponesi sorgono intorno all’1 d.C., ma la situazione è talmente instabile che suscitare in numerosi clan una forte volontà di unirsi sotto un uomo divinizzato: l’imperatore. La costituzione di un governo imperiale (IV sec. d.C.) si deve allo sviluppo di questa particolare ideologia, che fa venire in mente l’Egitto faraonico, e che trova un valido sostegno nella dottrina scintoista, che si va sviluppando nello stesso periodo. Questo atto segna l’ingresso dei giapponesi nella storia. La cultura viene importata dalla Cina (scrittura, sistema politico, legale e amministrativo) e dall’India (buddismo).

06. India

È solo dopo la morte di Alessandro, intorno al 322, che un indiano dall’oscuro passato, Chandragupta Maurya, caccia le guarnigioni macedoni dal bacino dell’Indo e segna l’effettivo inizio della storia indiana. L’impero Maurya (322-185) riesce per la prima volta a riunire le popolazioni dell’Indo a quelli del Gange e getta le basi di una nuova cultura, la cui caratteristica principale può essere indicata nel sistema piramidale delle caste. Al vertice, ci sono le caste ereditarie dei nobili e dei sacerdoti, seguono la casta dei guerrieri, quella degli uomini liberi, che sono in prevalenza coltivatori, commercianti e artigiani, e infine la “fuori casta” degli intoccabili, o paria, o schiavi. La società è fondata sulla famiglia patriarcale, che è posta sotto l’autorità del capofamiglia. La principale fonte di ricchezza è l’agricoltura. L’esercito si compone di truppe mercenarie e arruolate per un periodo determinato e comprende fanti, cavallerie, carri ed elefanti. L’apogeo dei Maurya si raggiunge sotto l’imperatore Asoka (264 ca. – 227 ca.) che, dopo essersi convertito al buddismo, si sforza di assicurare il benessere a tutti i sudditi e di evitare che gli animali subiscano molestie, divenendo il simbolo della non-violenza.
Dopo l’avvicendamento delle dinastie Sunga (185-73) e Kanva (73-25), l’evento di maggior rilievo è l’invasione degli sciti, che fondano la dinastia kusana (I-IV sec. d.C.), sotto la quale si svolge la diffusione missionaria del buddismo, che raggiunge la Cina. Segue la dinastia Gupta (320-510), che segna il periodo aureo della civiltà indiana, per poi declinare a causa dell’invasione degli unni, che finiranno per integrarsi nel sistema delle caste e perderanno la propria identità.

05. I Cinesi

Nel 506 la Cina è formata da sette Stati di vaste dimensioni e da altri Stati minori, che si tengono sotto minaccia reciproca. La conflittualità è elevata, la guerra endemica. Il periodo che va dal 453 al 222 a.C. è segnato da gravi disordini, instabilità e anarchia, ed è perciò detto dei “Regni combattenti”. Per fronteggiare la difficile situazione, ciascuno Stato si vede costretto a migliorare la propria efficienza militare e amministrativa e, così facendo, finisce per rompere i tradizionali legami della società agricola e aprirsi agli scambi commerciali.
La più radicale delle riorganizzazioni avviene nello Stato di Qin, dove il nobile Shang Yang (356-38) abbandona la consuetudine di assegnare le cariche per via ereditaria e offre possibilità di carriera a giovani di talento, senza più riguardo alle distinzioni di classe. Inoltre, riforma l’organizzazione dello Stato, che viene suddiviso in circoscrizioni, date in amministrazione a funzionari, i quali provvedono a regolare la vita delle rispettive comunità. In questo periodo viene incoraggiata e si diffonde la piccola proprietà privata. A partire dal IV secolo viene imposta la coscrizione obbligatoria e la guerra esce così dalla ristretta cerchia aristocratica e coinvolge le masse. Accanto alla fanteria compaiono i primi corpi di cavalleria. Da questo momento i titoli nobiliari sono assegnati anche per meriti militari e non solo per nascita.
È un periodo ricco di fermenti, nel corso del quale si introducono l’uso della moneta (V sec.), la lavorazione del ferro, l’aratro tirato da buoi, la cavalleria, l’arco, la balestra e tecniche ossidionali; viene favorita, inoltre, l’affermazione di una nuova classe di funzionari eruditi (shi), che conoscono i testi e i rituali dell’epoca feudale e che aspirano a riunificare l’impero e restaurare l’ordine sociale.
È in questo periodo che Confucio (551-479), un funzionario di origini aristocratiche, ma ormai decaduto, inizia una serie di peregrinazioni e diffonde il suo pensiero, che mira a stabilire un sistema di valori universali in un mondo dominato dalla forza e dalla sete di ricchezza. Insieme al confucianesimo si diffonde il legalismo, che sostiene l’idea di uno Stato forte dotato di leggi rigide e della forza necessaria per punire i trasgressori e tenere così a freno l’intero corpo sociale. Dopo Confucio, l’equivalente cinese di Socrate, altri maestri e filosofi diffondono fra la gente il loro pensiero, che è più interessato alla vita pratica che alle scienze e alla metafisica. Sono gli analoghi dei sofisti. Essi sono tollerati dai sovrani, a differenza dei mercanti, che, nonostante vengano aborriti, continuano a prosperare.
Dopo un secolo di lotte, la moltitudine di Stati viene unificata ad opera di Shi Huangdi (221-210 a.C.), il primo imperatore della Cina, che fonda la dinastia Qin (221-210 a.C.), da cui la Cina prende il nome. Shi Huangdi crea un efficiente apparato amministrativo, abolisce le aristocrazie ereditarie, divide il territorio in province, che vengono funzionari di nomina imperiale, adotta sistemi standardizzati di scrittura, di pesi e misure, e di moneta; instaura la proprietà privata delle terre, impone leggi e tasse, introduce il servizio militare obbligatorio, potenzia la cavalleria, costruisce canali e strade. La più nota impresa dei Qin è comunque il collegamento dei tratti di muraglie già erette precedentemente dai singolo Stati per difendersi dalle incursioni nomadi, e prende così forma la Grande Muraglia, che costituisce la più grande opera monumentale realizzata dall’uomo. Il suo tratto più lungo e più antico è eretto proprio per volere Shi Huangdi, allo scopo di proteggere i confini settentrionali della Cina dalle invasioni di genti nomadi provenienti dal Nord.
Alla morte di Shi Huangdi, si sviluppano forti lotte per il potere, da cui esce vittorioso Liu Bang (in seguito conosciuto con il titolo di Gao Zu), che dopo avere sconfitto gli altri contendenti al trono, fonda la dinastia Han (206 a.C. - 220 d.C.). Gli Han riformano il sistema giuridico e fiscale, rendono obbligatorio il servizio militare, da cui sono esonerati solo i nobili e i funzionari, elevano il confucianesimo a religione di Stato e danno alla Cina la forma politica che essa conserverà per i successivi due millenni.
Sul finire del II secolo a.C. viene compilata una Grande storia della Cina, chiamata Shiji, che, non potendo legittimare la dinastia Han sulla base di una tradizione aristocratica che non c’è (essi, infatti, hanno conquistato il potere con la forza), lo fa attraverso le sue imprese. Il risultato è lo stesso: gli Han sono legittimati non dal loro sangue, ma dalla storia.
Viene inventata la carta (non più tardi del I d.C.). Sotto la dinastia Han viene costruita una funzionale rete viaria con un buon servizio di corrieri postali, sono conquistate nuove terre e inaugurate nuove rotte commerciali verso l’Europa, mentre prosegue la costruzione della Grande Muraglia. Alla fine, il potere imperiale risulta consolidato. A partire dal 185 d.C., però, molti latifondisti assumono cariche pubbliche e diventano così potenti da desiderare l’indipendenza dall’imperatore. Sotto la spinta di queste forze disgregatrici, oltre che per la pressione di popolazioni barbare, l’impero Han cade e segue un periodo, durante il quale convivono una miriade di Stati indipendenti, ma in lotta fra loro, il cosiddetto medioevo cinese, che si protrae fino al 589, anno della riunificazione imperiale ad opera della dinastia Sui.
Ma l’idea di Impero non muore e ciascuno dei tre regni (Wei, Shu, Wu) in cui ora la Cina è divisa si considera erede legittimo della dinastia Han e sogna di ripristinare la perduta unità dell’impero. I tre regni sono nati dall’integrazione di elementi cinesi ed elementi barbarici e sono retti da aristocrazie guerriere. Il Sud è culturalmente più avanzato rispetto al Nord, ma entrambi sono accomunati dalla fede buddista e dall’idea di impero. I sovrani hanno interesse di essere circondati da vassalli potenti, ma non tanto da insidiare la propria leadership. Il quadro politico risulta dunque da un incerto equilibrio fra le forze del sovrano e quelle dei suoi vassalli. Al Nord il potere è diviso fra poche grandi famiglie latifondiste che ricorrono al lavoro servile. Al Sud il potere è nelle mani della vecchia aristocrazia, ma anche dei nuovi ricchi, che sono in prevalenza commercianti.
È in questo periodo di grande travaglio sociale che entrano in scena e vengono ben accolti i missionari buddisti. In teoria, il buddhismo insegna che un monaco non deve inchinarsi né davanti ai propri genitori, né davanti al sovrano, ma questo talvolta non è tollerato dai sovrani e spesso si addiviene a soluzioni di compromesso, specialmente a nord, dove i signori di origine barbarica hanno bisogno dei monaci per legittimare il proprio potere e i monaci hanno dell’appoggio del sovrano: alla fine il buddhismo diviene uno strumento dello Stato.
Accanto al Buddhismo si va diffondendo anche il taoismo che, da dottrina filosofica, si trasforma in religione organizzata (metà del III sec. d.C.).

04. Gli Ebrei

La dominazione persiana, che si protrae per quasi due secoli (539-332) è forse il miglior periodo per gli ebrei, i quali, ad ondate successive, fanno ritorno nella propria patria, dove sono lasciati liberi di professare la propria fede.
Nel 458 il re Artaserse invia in Palestina un proprio funzionario ebreo, Esdra, allo scopo di migliorare l’organizzazione di quel paese, che lascia alquanto a desiderare. Esdra vuole innanzitutto distinguere gli ebrei dal resto della popolazione, in modo che quando Dio vorrà mandare il messia, questi potrà facilmente riconoscerli e beneficiarli secondo quanto previsto nella sua Promessa. A tale scopo, essi dovranno ripudiare le mogli straniere e i figli avuti da esse, evitare la commensalità con gli stranieri, osservare il riposo sabbatico e praticare la circoncisione. Le conseguenze della riforma esdriana sono notevoli: da un lato, essa rafforza il sentimento nazionale degli ebrei, che si confermano nella convinzione di essere il popolo eletto, si stringono intorno alla figura del sacerdote (ierocrazia) e si dispongono ad attendere il «giorno del Signore»; dall’altro lato, vota gli ebrei all’isolamento e alla condizione di popolo-paria.
Con la caduta dell’Impero persiano ad opera di Alessandro Magno, molti ebrei si trasferiscono ad Alessandria, dove, grazie anche alla politica di tolleranza attuata da Alessandro e dai suoi successori, i Tolomei, danno vita ad un vivace movimento culturale ebraico. Essendo ormai grecofoni, questi ebrei avvertono l’esigenza di tradurre la Bibbia in greco, rendendola così accessibile all’Occidente, dove avrà un successo travolgente.
La situazione cambia con l’ascesa al potere dei Seleucidi, i quali, volendo imporre ad ogni costo la cultura ellenistica, finiscono per mettere a grave rischio l’identità nazionale ebraica. La situazione si fa critica sotto Antioco IV Epifane (175-163), che sottopone gli ebrei ad ogni sorta di vessazione e li pone nelle condizioni più umilianti di tutta la loro storia, ancora peggiori di quelle che si erano verificate sotto la dominazione assira e babilonese. Egli depreda il tesoro del tempio, distrugge le Sacre Scritture, emana leggi antireligiose e minaccia la pena di morte a coloro che praticano il culto giudaico (1Mac 1, 45-50). È la prima persecuzione religiosa della storia.
In un piccolo villaggio della Giudea vive un vecchio sacerdote, di nome Mattatia, coi suoi 5 figli, Giovanni, Simone, Giuda, Eleazaro e Gionata che, in quanto discendenti da un certo Asmoneo, sono noti anche col nome di Asmonei. Quando il funzionario regio ingiunge a Mattatia di offrire un sacrificio al dio pagano, questi rifiuta (1Mac 2,1ss) e, insieme ai figli ed ad altri ribelli, si dà alla macchia, iniziando una guerriglia contro i Seleucidi e gli Ebrei collaboranti (167).
Alla morte di Mattatia il comando passa a Giuda (166-160), detto Maccabeo (il martello), uomo coraggioso e capace, che organizza la resistenza su vasta scala e punta all’indipendenza della nazione. Nel 160 Giuda muore in battaglia e al suo posto si insedia Gionata (160-143), che muore assassinato. Gli succede Simone (143-135), il quale ottiene la libertà religiosa (1Mac 6,58-59) e il riconoscimento dell’indipendenza del suo paese (1Mac 15,1ss), oltre al titolo di sommo sacerdote, col diritto a trasmetterlo in eredità. Nasce così la dinastia asmonea.
A causa della loro politica, tutta finalizzata al perseguimento dei propri interessi, gli Asmonei finiscono per perdere l’appoggio e la stima di buona parte della popolazione, che comincia a considerarli degli usurpatori del trono di David e così il loro potere si indebolisce.
Nel 40 il triumviro Marco Antonio induce il Senato romano a proclamare re di Giudea un certo Erode il Grande (37-4), idumeo di origine, ma ebreo di religione, mentre è sommo sacerdote l’asmoneo Antigono. Dopo tre anni di guerra, e con l’aiuto dei Romani, Erode conquista Gerusalemme e fa decapitare Antigono (37). Finisce così la dinastia degli Asmonei.
Alla morte di Erode (4 a.C.) la Giudea viene annessa alla provincia della Siria e governata da procuratori romani e da un Consiglio di anziani presieduto da un sommo sacerdote, il Sinedrio. Gli ebrei si mostrano insofferenti al nuovo assetto politico e danno vita a numerose rivolte antiromane.
Nel 18 d.C. diviene sommo sacerdote Caifa, mentre, intorno al 26, il procuratore romano è Ponzio Pilato (26-36), che rimarrà molto famoso nei secoli per aver presieduto al processo contro Gesù di Nazaret (30). Pilato vuole romanizzare la regione e non si fa scrupolo di profanare il tempio facendo issare nelle sue vicinanze due stendardi con l’effigie di Cesare (26). Gli ebrei protestano accampandosi minacciosi intorno alla sua abitazione fino a quando gli stendardi vengono rimossi. I contrasti con la popolazione locale inducono Pilato a trasferire la capitale della regione da Cesarea a Gerusalemme per poter meglio controllare le continue ribellioni.
Negli anni 27-30 Gesù di Nazaret percorre le strade di Galilea predicando l’amore per il prossimo e annunciando l’imminente avvento del regno di Dio sulla terra. Molti pensano che sarà proprio lui il primo re del nuovo regno, vale a dire il messia, che gli ebrei aspettano da tempo. Sotto questo aspetto, la legge romana vede in lui un pericolo e lo condanna alla pena capitale (30).
Alcuni seguaci, tuttavia, credono che egli sia resuscitato e ne aspettano il glorioso ritorno, insieme all’inaugurazione del Regno, e badano a comportarsi in modo tale da essere giudicati degni di entrare a far parte di esso. A capo di questa piccola comunità, che aspetta il ritorno del Signore, c’è Stefano, un ebreo di lingua greca non originario della Palestina. Considerato un sovversivo, anche lui viene processato e condannato a morte dal Sinedrio. Sentendosi minacciati, molti membri della comunità si allontanano da Gerusalemme e si disperdono nell’impero, fondando chiese in Fenicia, a Cipro e ad Antiochia, dove, per la prima volta, vengono chiamati cristiani.
Nel 40, la comunità cristiana di Antiochia viene raggiunta da Paolo di Tarso, anch’egli un ebreo non originario della Palestina, che è convinto che Cristo sta per ritornare sulla terra e farà entrare nel suo Regno anche i non-ebrei, i cosiddetti gentili. Egli ritiene pertanto che, per salvarsi, non è necessario il tempio, ma è sufficiente l’osservanza della Legge. Nel 58 Paolo giunge a Gerusalemme, portando con sé del denaro precedentemente raccolto con una colletta, ma le sue idee non sono gradite in questa città, tanto da essere causa di disordini e da indurre i romani ad arrestarlo.
Per gli ebrei gerosolimitani, il tempio è la sede che ospiterà il Cristo trionfante e rimane l’unica via della salvezza. Alcuni di essi, gli Zeloti, credono che l’avvento del regno di Dio possa essere anticipato da azioni di lotta antiromane, che dovrebbero indurre Dio ad intervenire e instaurare il suo Regno. Convinti che Roma sia in fase di declino, gli Zeloti assaltano e annientano una legione romana (66). Ciò equivale ad una dichiarazione di guerra. Vespasiano giunge in Palestina nel 67 e gli occorrono tre anni per conquistare Gerusalemme. Il tempio viene distrutto, il sinedrio abolito, la Giudea staccata dalla Siria e amministrata come provincia imperiale autonoma. Da questo momento, per tutti gli ebrei il tempio viene a perdere il suolo primario e acquistano importanza le Sacre Scritture, ossia la Legge, tanto cara a San Paolo. Il pio ebreo è tenuto ad osservare la Legge e i sacri costumi da essa previsti.
Nel 131 Adriano emana una serie di editti allo scopo di indurre gli ebrei ad abbandonare il loro peculiare stile di vita e ad integrarsi con le altre popolazioni dell’impero. Ciò contribuisce a scatenare l’ennesima rivolta, che è meticolosamente pianificata e guidata da Ben Koseba, un rude militare, che viene salutato come messia. Affidandosi ad azioni di guerriglia, egli riesce a resistere per tre anni, durante i quali infligge consistenti perdite ai romani, prima di essere sopraffatto e ucciso (135). È la fine di un sogno, e questa volta, a quanto pare, senza possibilità di ritorno.
Da questo momento non ha più senso la distinzione fra ebrei di Palestina e non: adesso gli ebrei sono uguali fra loro e si distinguono per certe consuetudini (circoncisione, festività, rispetto del sabato, fede nel messia e nell’unico Dio). Si chiude così il capitolo della storia ebraica legato al tempio e alla Palestina.
Intanto Adriano avvia i lavori di ricostruzione di Gerusalemme, che ora si chiama Aelia Capitolina. In seguito, Antonino Pio (138-61) attenua la legislazione antiebraica introdotta da Adriano e rende legale la pratica del giudaismo. I cristiani però non vedono di buon occhio gli ebrei, che ritengono colpevoli di deicidio, mentre, da parte loro, gli ebrei non sono disposti a credere nella natura divina di Cristo.
La situazione procede così, senza tanti scossoni, per un paio di secoli, fino a quando Costantino non intraprende una politica filocristiana, il che offre il destro ai cristiani di attuare vere e proprie campagne persecutorie contro gli ebrei. All’indomani del concilio di Nicea (325) viene costruita a Gerusalemme una basilica e la popolazione palestinese si cristianizza. I successori di Costantino persistono nella politica filocristiana ed emanano provvedimenti antiebraici, come quello che vieta loro il matrimonio con cristiani o il possesso di schiavi. Da parte loro, gli ebrei si sentono ingiustamente danneggiati da questa politica e accusano i cristiani di essersi appropriati indebitamente delle loro Scritture Sacre, di cui si avvalgono per perseguitarli.
Uno spiraglio si apre per gli ebrei sotto Giuliano (361-3), il quale cambia politica, questa volta in senso anti-cristiano, e si impegna a ricostruire il tempio. Molti ebrei vedono in questi eventi il segno che sta per arrivare il messia, mentre i cristiani sono costernati. Per loro fortuna, Giuliano viene ucciso e gli succede Gioviano, un imperatore cristiano, che riporta tutto come prima, finché, sotto Teodosio, il cristianesimo diviene religione di Stato (391). Per gli ebrei è un duro colpo e la loro situazione non cambia dopo che, alla caduta dell’impero d’Occidente, la Palestina passa sotto la dominazione di Costantinopoli.

03. Il Mediterraneo

Agli inizi del V secolo si afferma nel Mediterraneo una nuova potenza navale, Siracusa, la quale si scontra vittoriosamente prima con i cartaginesi (480), che devono così rinunciare ad ogni eventuale velleità espansionistica, e poi con gli etruschi (474), divenendo così la potenza egemone del bacino occidentale del Mediterraneo, come Atene lo è di quello orientale. Da questo momento le uniche azioni di cui gli etruschi appaiono capaci sono azioni piratesche, che sono prese a pretesto dai siracusani per portare avanti la loro politica di potenza.

02. I Macedoni

Fino a questo momento, la Macedonia ha svolto un ruolo di secondo piano rispetto alla Grecia, ma, a partire dal 357, il suo re, Filippo II, comincia a sfruttare le divisioni fra le poleis per estendere su di loro il suo potere. Ad Atene le posizioni dei cittadini sono ben rappresentate da tre grandi oratori: Demostene esorta alla resistenza incondizionata, anche Isocrate è per la resistenza, ma da parte di tutta la Grecia unita, Eschine invece vorrebbe la pace. Alla fine prevale il partito antimacedone e Atene forma una grande alleanza con Megara, Corinto e altre città (341), ma viene sconfitta a Cheronea (338). Il comportamento di Filippo è improntato alla clemenza e la Grecia viene organizzata in confederazione (assemblea di Corinto, 337), di cui Filippo si fa dare la presidenza. Il suo programma dichiarato è quello di unire tutti i greci in un’impresa comune: la conquista della Persia.
Alla morte di Filippo (336) la Grecia si ribella, ma deve cedere al giovane figlio di Filippo, Alessandro. Si ribella ancora alla morte di Alessandro, ma ancora una volta viene sottomessa dalle armate macedoni di Antipatro (323-2), alla morte del quale (297), la Macedonia piomba nel caos per almeno venti anni. Ciò induce i greci a riprendere la lotta per la propria indipendenza e, a tale scopo, costituiscono due grandi coalizioni (la lega eolica e la lega achea), che però non si rivelano all’altezza del compito.
Nel 279 la Grecia subisce un’invasione di Celti, che infine si insediano in Asia Minore (i Galati).
Intanto, dopo l’affermazione della dinastia degli Antigonidi (277-168), la Macedonia mostra segni di ripresa. Incapaci di liberarsi da sole dal giogo macedone, alla fine, i greci decidono di allearsi con Roma, che introduce ad Atene un regime aristocratico (228). Dopo la sconfitta subita per mano romana a Cinocefale (197), i macedoni devono abbandonare la Grecia e il generale romano Flaminio ne proclama solennemente la raggiunta libertà, ma le città greche mostrano di non saper vivere in pace e nell’unità e subito prevale la divisione e la discordia. Intanto, il re macedone Perseo si ribella a Roma (171), ma viene definitivamente sconfitto a Pidna (168). Nel 148 la Lega achea insorge contro i romani, ma viene sconfitta e la Grecia passa sotto il controllo di Roma (146).
Nell’88, dopo un periodo di profonde tensioni sociali, ritorna ad Atene un governo democratico, che si schiera a fianco del re del Ponto, Mitidrate, contro i romani. Silla interviene e sottomette Atene, radendo al suolo le sue fortificazioni. Da questo momento, la città conserva solo una rilevanza culturale e in essa si formano molti giovani romani di elevato ceto sociale.
Verso il 51 vi giunge Paolo di Tarso, che reca la lieta novella cristiana, ma non riscuote particolare successo: la Grecia resterà refrattaria al cristianesimo fino a quando Giustiniano (529) trasformerà le scuole pagane in chiese.
Nel 267 la Grecia subisce le invasioni di Goti ed Eruli, nel 396 quella dei Visigoti. Dopo la morte di Teodosio (395), essa entra a far parte dell’impero d’Oriente e vi resterà per oltre un millennio, fino alla sua caduta. A partire da Costantino, Atene va gradatamente perdendo prestigio a favore di Costantinopoli.

01. I Greci

Agli inizi del V secolo, le poleis elleniche si trovano a fronteggiare la Persia che si sta espandendo. La vittoria di Maratona (490), riportata da Milziade, crea negli ateniesi la coscienza di aver salvato la Grecia intera ed è all’origine della vocazione imperiale della città. Ma, dopo un decennio, i persiani ritornano con un esercito ancora più numeroso e tale da rendere impossibile ogni resistenza. Gli ateniesi prendono allora la decisione di abbandonare la città e si rifugiano nelle navi. I persiani possono così entrate ad Atene e incendiare l’acropoli, ma la flotta greca, comandata dall’ateniese Temistocle e dallo spartano Euribiade, riporta un’importante vittoria a Salamina (480), che induce il re persiano Serse a fare ritorno in patria, mentre le sue truppe di terra continuano la guerra al comando del generale Mardonio, che viene sconfitto a Platea (479).
Nel 477 Atene assume la direzione della lega di Delo, una vasta confederazione di poleis, che si impegnano a collaborare in condizioni di parità, per cacciare definitivamente i persiani fuori dal suolo ellenico. Solo che però Atene comincia a comportarsi in modo autoritario e tratta le alleate come città satelliti, proprio mentre, al proprio interno, si va affermando un regime democratico. La vittoria definitiva sui persiani viene riportata dall’ateniese Cimone presso l’Eurimedonte (468), ma solo un ventennio dopo si riesce a firmare la pace di Callia (449), in cui i persiani si impegnano a non inviare altri eserciti in Grecia. Finiscono così le guerre persiane, anche se la Persia continuerà ancora a lungo a far pesare la sua presenza sul mondo greco.
Atene è ora la prima potenza in Grecia e, sotto Pericle (461-29), la sua democrazia si va consolidando insieme al suo imperialismo, che però non è gradito alle città sottomesse, che, in più riprese, si ribellano (la Beozia nel 447, Megara nel 446, l’Eubea nel 445, Samo nel 439), ma, puntualmente, con la forza, vengono ricondotte all’obbedienza e costrette a pagare un tributo.
Ne approfitta Sparta, che si fa paladina delle libertà greche minacciate. Le sue relazioni con Atene peggiorano, fino a degenerare in una vera e propria guerra, che praticamente coinvolge tutta la Grecia, la cosiddetta guerra del Peloponneso (432-404), che sarà conosciuta nei secoli grazie alle Storie di Tucidide e alle Elleniche di Senofonte. Dal momento che afferma di combattere per la libertà della Grecia, Sparta riscuote le maggiori simpatie e ha al suo fianco la maggioranza delle città continentali. Atene invece può contare sul suo impero marittimo dell’Egeo, sulla Macedonia, sulla Tracia e sull’Asia Minore.
Riconoscendo la propria inferiorità sulla terraferma, Pericle evita lo scontro terrestre e ordina ai suoi di rifugiarsi entro le mura della città, gli ateniesi costruiranno la loro vittoria sul mare. Gli spartani possono devastare l’Attica a piacimento, ma nulla possono contro le mura di Atene. La strategia di Pericle sembra funzionare, ma una grave pestilenza scoppiata nella città affollata decima la popolazione e uccide lo stesso Pericle (429). Ne raccoglie l’eredità il bellicista Cleone, che reprime con energia la rivolta di Militene e di Lesbo (428-7) e riporta una vittoria sui nemici a Sfacteria (425), ma non può evitare la defezione di molti alleati di fronte all’offensiva spartana in Tracia (424).
Alla sua morte (422) prevale il partito dei conservatori pacifisti guidato da Nicia, il quale firma una pace per 50 anni (421), che però non viene rispettata, soprattutto da parte degli alleati di Sparta, e così le ostilità ricominciano (418), con una potenza spartana rafforzata da un’alleanza con la Persia (423-04).
Su proposta dell’ambizioso Alcibiade, Atene allarga il suo campo di azione e tenta di conquistare le coste siciliane, sperando così di accrescere la propria potenza e accerchiare in qualche modo il nemico, ma la spedizione si conclude una sconfitta disastrosa e la distruzione della flotta (415-3), di cui approfittano alcuni alleati per staccarsi da Atene, proprio mentre Sparta riceve dalla Persia consistenti aiuti, anche di tipo finanziario (412).
La situazione ad Atene si fa critica e offre lo spunto alla minoranza aristocratico-conservatrice di instaurare un governo oligarchico (411). Ma la città reagisce e ripristina la democrazia (410), anche se non è più in grado di lottare per la vittoria. L’ultima affermazione militare viene riportata dalla flotta alle isole Arginuse (406), ma si conclude con la condanna a morte degli strateghi, colpevoli di non aver prestato adeguato soccorso ai marinai caduti in mare. Sparta si rifà con la vittoria di Egospotami (405), che lascia Atene priva di flotta e ormai costretta a capitolare senza condizioni.
Lo spartano Lisandro entra nella città, ne fa distruggere le mura, ne confisca la flotta e le impone il governo oligarchico dei Trenta Tiranni (404), che però è inviso alla popolazione e viene ben presto rovesciato da Trasibulo, che restaura la democrazia, mentre la città sta attraversando un momento disastroso sotto il profilo economico. Sparta abbatte anche i governi democratici delle città dell’ex impero ateniese e li sostituisce con governi oligarchici composti ciascuno di dieci uomini (decarchie) e sorvegliati da governatori spartiati, i cosiddetti armosti, così che il suo dominio comincia ad essere considerato ben più pesante di quello ateniese.
Desiderose di liberarsi dalla dominazione oligarchica spartana, alcune città (Corinto, Atene, Tebe, Argo) si sollevano e vengono appoggiata dalla Persia, che non ha ancora rinunciato alle sue mire in Grecia. Anche Atene si avvantaggia del sostegno economico dei persiani e ricostruisce le sue mura e la sua flotta.
Adesso Sparta si trova a combattere su due fronti: contro altre poleis e contro i persiani (400-386). Nel 394 essa riporta un paio di vittorie, ma deve subire una sconfitta nella battaglia di mare a Cnido, ad opera del generale ateniese Conone, che comanda anche la flotta persiana. Alla fine, gli spartani tornano ad allearsi con la Persia (pace di Antalcida, 386), alla quale cedono l’Asia Minore. Da parte sua, Atene ricostituisce una confederazione marittima (377) e sconfigge gli spartani nella battaglia navale di Nasso (376), riconquistando così l’egemonia nell’Egeo.
Qualche anno dopo, Tebe inaugura il suo seppur breve periodo di egemonia, grazie al genio militare di Epaminonda, che sconfigge gli spartani a Leuttra (371) e infrange il mito della loro imbattibilità. Adesso il nemico da battere è Tebe, e Atene non esita ad allearsi con Sparta (369), mentre all’interno della propria confederazione ripropone il vecchio clichè di stampo imperialista. Per Tebe è un momento magico. Dopo essere sceso nel Peloponneso e liberato la Messenia dal dominio spartano, Epaminonda riporta una nuova vittoria a Mantinea (362), dove però perde la vita.
Da questo momento Sparta si chiude in se stessa e non partecipa alla lotta contro il nuovo pericolo che si profila in Macedonia. Dal canto suo Tebe non si rivela in grado di ripetere le gesta di Epaminonda e deve cedere la sua supremazia ad Atene (360), che però è costretta a subire la rivolta vittoriosa degli alleati (357) e si avvia anch’essa al declino.